Il sentiero del Monte Cecilia

Itinerario naturalistico

Descrizione

Lunghezza:
Anello Principale circa Km 7
(circa 5 Km con le "varianti")

Tempo di percorrenza medio: 3,5 - (2,5) ore

Periodo favorevole:
primavera ed autunno

 

Anche se raggiunge appena i 200 metri d'altezza il monte Cecilia presenta una morfologia molto varia, articolata in forme morbide alternate a versanti ripidi e a vallette strette e profonde. Partendo dalla piazza di Baone si possono scegliere vari itinerari a seconda della stagione e del tempo a disposizione. L'itinerario "classico" prevede la salita del monte Cecilia lungo la vecchia strada di Val Lusema, passando per le case della Bèa Venessia.
Il tracciato risale lo spallone di sud-ovest, dove i coltivi lasciano presto il posto ad una bella boscaglia mista di robinia e roverella. Il fondo del sentiero è in alcuni punti lastricato dalle curiose esfoliazioni della latite "cipollare". Alte siepi di biancospino, ligustro, acero campestre, evonimo, roverella e carpino nero, ci accompagnano fino a quota 145 m, dove incontriamo il sentiero anulare che cinge la parte superiore del colle (Varianti "A" e "B") Qui ampie radure luminose, stese sulla schiena calcarea del monte, ricordano passate lavorazioni quando, con grande sacrificio e poca resa, si coltivava il frumento, l'orzo e il mais. Ora i prati abbandonati stanno chiudendosi, lentamente invasi dall'espansione dei cespugli pionieri come il biancospino, il pruno spinoso, la rosa di macchia, il ligustro, la madreselva, l'asparago pungente, che preparano il terreno all'immancabile robinia ma anche al ritorno del camino nero, della roverella e dell'orniello. Tra aprile e maggio fioriscono le orchidee che con le loro forme complesse ed aggraziate danno una nota di esotica bellezza alle radure silenziose; tra le varie specie presenti si osservano con maggior frequenza l'orchidea tridentata, l'orchidea scimmia e l'orchidea maggiore.

Proseguiamo in dolce salita all'interno di una boscaglia luminosa, dove ricompare la scura latite, ed in breve si esce su uno slargo prativo, un tempo più esteso, che offre un bel colpo d'occhio verso le colline di Arquà Petrarca e la zona centrale degli Euganei. A lato del sentiero un piccolo cumulo, dove ad aprile fioriscono i lillà e il moro cinese, è quanto resta di un piccolo edificio, che forse fu un romitorio. Da questi prati ariosi è abbastanza comune osservare il volo planato delle poiane che, spesso a coppie, perlustrano in lente volute la parte superiore del colle.

Il sentiero continua passando sotto alla prima culminazione del Cecilia, dove una vecchia siepe di sicomoro o lillà racchiude un piccolo spiazzo un tempo erboso ed ora invaso dal pruno spinoso, dove sembra sorgesse la medievale pieve di san Fidenzio. Sotto il viottolo, in un contesto di boscaglia secondaria a robinia, si vedono i terrazzamenti della Carpiàna, che testimoniano come fino a qualche decennio fa tutto il versante che guarda la piazza di Baone fosse intensamente coltivato e, oltre a buon vino, producesse primizie di ottima qualità come piselli, fagioli, patate, ciliege, pesche, fichi e albicocche.

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In breve si raggiunge la base della scalinata, che porta sulla spianata dove sorgeva il castello, sui pochi resti del quale s'innalza la croce metallica a segnare il punto più alto e prestigioso del colle. Una breve sosta s'impone per gustare la pace del luogo e considerare quello che poteva essere il perimetro del maniero del conte Manfredo, padre della sfortunata Cecilia. Scendiamo quindi per una scala in sasso, tagliando stretti terrazzi sostenuti da bei muretti a secco. Inizia un breve tratto che con due ripide curve porta ad un bivio: qui abbiamo una prima alternativa sul percorso possibile.

Variante "A"

Chi intende fare l'anello alto del Cecilia, scegliendo il percorso più breve (Variante "A"), svolterà a sinistra entrando in una luminosa e fresca boschetta, dominata dalla robinia, in cui compaiono però anche rovere e castagno. Il sentierino erboso, passando poco sopra una casetta immersa nel verde, taglia obliquamente il versante calando rapido, ma non disagevole, verso lo spallone di nord-est, fino a ritrovare, presso un breve rialzo roccioso, il nostro itinerario principale, rappresentato dalla vecchia mulattiera che sale da Terralba.

Chi, invece, desidera scoprire ulteriori suggestioni panoramiche e osservare da vicino la bellezza e l'armonia delle colture tradizionali, deve scendere ancora per un po', e seguire il tracciato dell'itinerario principale. Il sentiero attraversa i coltivi della Costa, sistemati a solatio sull'alto versante di sud-est. Tra olivi, viti, mandorli, melograni, ciliegi e fichi scendiamo verso le ampie rive del Vignalòn, fino alla stradella del Bruschèo, che taglia il versante portandoci sulla dorsale calcarea di Terralba. Qui percorriamo un breve tratto della stradella asfaltata che viene dal borgo delle Casette, posto sul piccolo valico della Provinciale che unisce Baone con Monselice ed Arquà.
Passando a fianco dell'azienda agricola "Il filò delle vigne", che in passato fu monastero agostiniano di santo Stefano di Venezia, si riprende a salire su largo sentiero di scaglia fino ad un piccolo dosso ombroso dove la roccia calcarea cede il posto ad un affioramento di latite. In questo punto confluisce il sentierino che abbiamo lasciato poco sotto la cima del monte, (Variante "A") formando un trivio. L'incrocio segna un punto importante nell'antica viabilità del colle. A guardar con attenzione a monte della curva si nota la traccia di un tratturo che risale il ripido versante in direzione del pianoretto sotto la primitiva pieve di san Fidenzio.
Vale la pena seguirlo per alcune decine di metri per osservare le più belle esfoliazioni cipollari della latite presenti sui colli Euganei. Ritornati sul percorso principale si riprende la marcia su fondo piano e ben tenuto, dirigendo a nord verso il rudere di casa Bolcato. La vegetazione è formata da robinia, roverella, olmo, acero campestre, camino bianco, moro cinese, nocciolo, nespolo, sambuco, rosa di macchia, sanguinella, cui si accompagnano le erbacee tipiche dei luoghi in passato coltivati intensamente: falsa ortica, salvia selvatica, gigaro, lampascione; non mancano il pungitopo e l'asparago selvatico.

Il sentiero, passando per un macchione di moro cinese (Broussonetia papyrifera), gira alle spalle del rustico cadente e sfiora il bordo superiore della fresca valletta boscosa del Calto dea Fontanèa, che scende verso l'antica contrada della Comezara. Anche in questo tratto l'assetto terrazzato delle rive ricoperte per lo più da robinia, sambuco e moro cinese, denota l'opera passata dell'uomo. Quasi subito dopo la stretta curva che oltrepassa l'inizio del calto, si incontra sulla sinistra un bivio in salita. Anche in questo punto si può scegliere di seguire il percorso abbreviato (Variante "B"), o continuare per il percorso principale.

Variante "B"

Al bivio si prende a sinistra risalendo una breve costa calcarea che si allarga in pianoretto erboso, dove terrazzamenti abbandonati ospitano qualche olivo, mandorli, ciliegi e viti.
Suggestivo il panorama verso il monte Ricco e la Rocca di Monselice. Il sentiero costeggia una siepe di sanguinella, omiello e corniolo e girando a gomito riprende a salire all'interno di un tratto boscato formato da acero campestre, roverella, carpino nero, orniello e ligustro. In poco tempo si raggiunge la radura a quota 145 m, dove ritroviamo l'innesto del sentiero che sale dalla piazza del paese. In questo modo si chiude l'anello superiore di monte Cecilia. Non resta che prendere il viottolo sassoso che scende in Val Lusema per tornare alla piazza di Baone.

Continuazione del percorso principale.

Al bivio proseguiamo per la stradina pianeggiante. In breve si esce sui prati del fianco est, dai quali abbiamo un bel colpo d'occhio sulla piana valliva coltivata tra il golfo di Arquà e la base di monte Ricco. In questo tratto il percorso ci porta a scoprire l'altra realtà paesaggìstica e naturalistica del monte Cecilia: il settore calcareo, caratterizzato da ondulazioni morbide e assolate dove le distese dei prati aridi abbandonati e dei macchioni di roverella negli anfratti, conferiscono al paesaggio un carattere che richiama certi scorci collinari del centro o del meridione d'Italia.
Il sentiero ora cala ripidamente e, attraversata una sella argillosa, un tempo coltivata, s'accosta al fianco di un'altura tondeggiante, chiamata Cavamorti. Qui il maggio è un incanto: al momento della fioritura della ginestra tutta l'altura si riveste d'un giallo dorato spandendo a distanza un dolce profumo. Ma su queste rive non meno avvolgente è l'atmosfera d'autunno, quando le foglie dello scotano esplodono in tutte le tonalità del rosso. Trascurando la strada vecchia che prosegue sul fianco occidentale del dosso, il nostro itinerario prevede di aggirare su tre lati l'altura. Scendiamo quindi verso est all'interno di una vivace vegetazione termofila arricchita dalla presenza del terebinto (Pistacia terebinthus). Svoltiamo quindi a sinistra tagliando per praticelli aridi, separati da vecchie siepi dove in inverno è facile osservare il curioso scricciolo e il confidente pettirosso.

Incontrata una traccia che incide il ripido versante esposto a nord-est si sale verso la sommità del poggio. Qui, tra alti cespugli di ginestra, scotano e ginepro si notano alcune chiarite nella stentata vegetazione erbacea, prodotte dall'affioramento di un sottile sfasciume calcareo dilavato.
Proprio su queste piccole isole assolate e quasi spoglie possiamo incontrare la tanto preziosa, quanto modesta, Ruta patavina (Haplophyllum patavinum). Si tratta di una piantina non più alta di 15-20 cm, con foglioline lanceolate, ternate, avvolte a spirale sul fusticino, il quale solo superiormente si ramifica per sostenere un'ombrelletta densa di piccoli fiori giallo-zolfino, aperti tra maggio e giugno. Le fanno degna corona varie specie di orchidee tra le quali il pan di cuculo, l'orchidea maggiore, la cefalantera bianca, l'orchidea simile a quella del Bertoloni. (foto Ruta patavina - foto ambiente ruta)
Dal sommo dell'altura lo sguardo spazia libero e dall'ondulata zona centrale dei colli, dominata dalla massa del Venda, scivola sulla morbida linea del Covolo, completando l'arco verso l'alta sella di Calaone chiusa dai bei coni di Cero e Castello.

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Scendendo verso nord ritroviamo la stradella custodita da siepi di ligustro, marruca, detto Onge de gato, e da alcuni alberelli spinosi di maclura (Maclura pomifera), che produce curiosi frutti giallastri a forma di arancio grinzoso.
Giunti al bivio si svolta a gomito per larga stradella sterrata che, passando a lato dell'isolata casa Chimelli, scende nella valletta delle Moschìne. Tra gli alberi che seguono la strada formando una verde galleria notiamo alcuni grandi esemplari di acero campestre e di bagolaro, che, più in basso, lasciano il posto a siepi di sicomoro e roverella. Giunti al piano, si passa a lato della fabbrica "Nuova Canguro", alle spalle della quale si apre la famosa cava dove si può osservare il più bell'esempio didattico di laccolite. Ritroviamo l'asfalto e, accompagnati da un'alta siepe di acero campestre forse la più bella della zona, si giunge alla confluenza con la diramazione della Provinciale che unisce Baone con Valle San Giorgio. Da qui in breve si raggiunge la piazza del paese.

 

Ultimo aggiornamento: 01/03/2024, 16:59

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