Descrizione
Davanti la facciata del vecchio oratorio di san Lorenzo, seguiamo via Maso e, dopo la rampa che sale in Val Lucerna, entriamo nella luminosa vallata dominata dai monti Cero e Castello.
Poco dopo, sulla destra, una stradella ombreggiata da un'alta siepe di acero campestre entra nella valletta delle Moschìne, abitata fin dall'epoca romana. Alle spalle di una fabbrica, il fronte di una vecchia cava mostra un magma scuro, la latite, che, nel momento della nascita del colle, ha sollevato a cupola gli strati sedimentari della scaglia rossa, facendo un'interessante struttura che i geologi chiamano laccolite.
Ritornati sulla strada principale, proseguiamo costeggiando i rigogliosi vigneti distesi sulla costa delle Tavole e, a poco più di un chilometro dalla partenza, presso la vecchia fornace di calce Lazzarini, arriviamo alla Fontana della Fornace.
Alle spalle della fonte osservano due forni a tronco di piramide edificati in belle lastre di calcare. In origine alla base c'era una pozza dove venivano "spenti" i blocchi di calce viva per trasformarla nella più facilmente maneggiabile calce idraulica o spenta. Era presente la pesa, con funzione anche pubblica. Un'ampia cava di scaglia rossa, ormai mascherata dal verde spontaneo si apre immediatamente sul retro dei forni. La fornace, probabilmente costruita agli inizi del secolo, dalla famiglia Lazzarini, funzionò fino ai primi anni Cinquanta. Venne chiusa sembra per motivi legati alle nuove esigenze di mercato cui la ditta non seppe adeguarsi.
La fontana è un manufatto in mattoni a vista ben inserito nella mura in lastre di scaglia che chiude il lato meridionale del cortile della fornace. La caratterizza un'ampia apertura ad arco, inquadrata da due eleganti lesene in cotto che sorreggono un'alzata con riquadro. Il fornice è chiuso da una grata in ferro che poggia su una massiccia soglia in trachite. In fase di restauro è stato aggiunto un pozzetto in mattoni, rifinito con una copertina di trachite, al cui interno trova posto una pompa a mano. Lo slargo ribassato tra la strada e la fonte è stato pavimentato con ciottoli di fiume.
Sul fondo del fossato, un tempo c'era una vasca dove le mucche delle vicine fattorie, a sera e da sole, si recavano all'abbeverata; l'acqua quindi scolava andando ad alimentare il fosso Degòra.
Gli attuali proprietari hanno restaurato l'abitazione, i magazzini e la stalla. E' stato anche consolidato l'angolo nord della fornace. Nel piazzale di cava sovrastante i forni sono stati messi a dimora alberi da frutto e conifere.
A lato della fontana una stradella porta all'agriturismo "Alle fornaci", posto al fondo del piccolo seno, sul cui versante esposto a levante notiamo un'altra bella fornace. Il complesso, forse della metà dell'800, è formato da due forni affiancati, addossati al pendio, con l'abitazione restaurata, i resti del magazzino e del mulino.
Sopra si apre la cava di calcare.
Ora la strada inizia decisamente a salire e poco più avanti troviamo la terza fornace: il forno, addossato al monte, è a tronco di piramide. Osserviamo anche il magazzino, la casetta piacevolmente restaurata e la piccola cava sovrastante dove, a fine aprile, fiorisce l'albero di Giuda.
In cima al Passo delle Croci si stacca via Vallesana. La stradella, risalendo la costa delle Pivà re meglio conosciuta come Scajà re dischiude splendidi paesaggi e, sfiorando l'inizio del Calto delle Mùneghe, sale alla chiesa di Calaone. Chi volesse compiere un percorso breve può abbandonare la Provinciale e salire per questa via. Per il momento proseguiamo verso Valle San Giorgio: riprenderemo la descrizione del tratto che sale a Calaone dopo aver visitato le tre fontane della valle di san Giorgio. Il Passo delle Croci è uno splendido balcone naturale: ne approfittiamo per ammirare la dolcezza del vasto panorama collinare. In primo piano notiamo la parrocchiale di Valle con il bel campanile e la cinquecentesca villa Mantua Benavides, nobilitata dall'elegante loggiato aperto a mezzogiorno. Dietro si apre un arco collinare ondulato che culmina con la gobba pianeggiante di monte Fasolo, coronata dai cipressi del tempietto di san Gaetano che hanno come sfondo la massa azzurrina del Venda: centro e massima elevazione dell'acrocoro euganeo. Verso sinistra s'innalza il pendio coltivato e poi boscoso del monte Gemola, la cui cima pianeggiante è nobilitata dal complesso di villa Beatrice.
Iniziamo a scendere. La scarpata del monte coronata dallo scotano, che in autunno si veste di rosso mostra un curioso fenomeno legato al vulcanismo euganeo: le forti stratificazioni della scaglia calcarea si presentano disturbate e in alcuni tratti lasciando il posto ad una massa terrosa calcificata prodotta da gas e vapori liberati da un magma incandescente sottostante.
Scesi i tornanti ci troviamo sull'incrocio che, scavalcando il collo del Sassonegro, porta ad Arquà Petrarca.
Prendiamo a sinistra e subito svoltiamo per via Giare. La strada corre sinuosa, più alta dei coltivi, sulla sponda del Rio Giara, ombreggiata da un'alta siepe formata da robinia, acero campestre, bagolaro e sambuco, accompagnati da ligustro, evonimo, sanguinella, rosa di macchia, biancospino e qualche corniolo.
Al di là del ponticello di via Amolaro un grosso bagolaro spande la sua ombra nel cortile di una casa la cui facciata ospita, entro una grande nicchia azzurra, una statua di sant'Antonio.
Stiamo percorrendo quella che un tempo fu la Val de l'Abbà . Il nome è legato al monastero benedettino della Vangadizza, di Badia Polesine, che in questa vallata possedeva vasti terreni, avuti in dono nell'XI secolo dai marchesi d'Este